Siamo tutti fratelli? Vivere la fratellanza oggi (2)

Ci viene ricordato nel corso della messa, quando veniamo chiamati fratelli e sorelle. Lo affermiamo quando preghiamo il Padre nostro e riconosciamo che Dio è, appunto, Padre nostro, non mio o tuo. Poi la messa finisce, oppure usciamo dall’aula di catechesi, e il rischio è che queste parole diventino astratte. Perché anche questo non è un automatismo. Un conto è dire che è importante amare i propri fratelli, un conto è dare corpo alle parole, viverle, incarnarle: sulle strade della vita entrano in gioco la nostra libertà e la nostra volontà. E quando al fratello diamo un volto, la vita si complica: perché nostro fratello è il vicino, il figlio, l’amico che ci siamo scelti… ma anche il collega scorretto, il vicino dispettoso, il parrocchiano puntiglioso e, allargando l’orizzonte, il profugo che sbarca «e ruba lavoro ai nostri», il carcerato che soffre «ma in fondo gli sta bene, con quello che ha fatto», il povero che chiede l’elemosina «ma hai visto che ha un telefono più bello del mio?», la conoscente che non ci risparmia una critica dopo l’altra, «e allora la ripago con la stessa misura». La fratellanza è entusiasmante e faticosa allo stesso tempo: l’altro è colui che ci sfida a uscire da noi stessi, ci fa prendere il volo, ma è anche colui che ci disturba, ci provoca, ci turba. Più è diverso da noi, più ci spaventa: mina le nostre sicurezze, le nostre certezze. Con l’altro entriamo spesso in conflitto, fa parte della nostra umanità. Ma fa parte della nostra umanità anche lo slancio d’amore verso l’altro! Possiamo andare incontro all’altro, custodirlo, fare nostra la tensione che porta a desiderare per l’altro, chiunque esso sia, una vita degna; possiamo riconoscere in ognuno un figlio amato e perdonato, come lo è ognuno di noi. Non si tratta di obbedire ad una regola, né di considerarlo solo come proprio dovere, ma di assumerlo come uno stile di vita: si tratta del modo in cui il nostro sguardo si posa sull’altro. Perché amare i fratelli non è un compito da assolvere, è l’essenza del cristiano. Amare il prossimo e amare Dio non sono due strade diverse: amiamo Dio nel nostro prossimo, nel nostro fratello. Questa è la strada. Altrimenti Dio non lo incontriamo, non lo conosciamo, non lo frequentiamo. Non lo amiamo.