Con cuore di Padre – Breve riflessione nell’anno di San Giuseppe
I Vangeli quando parlano di Giuseppe lo appellano con l’aggettivo “giusto”. Essere giusti nella mentalità ebraica sta a significare avere un cuore capace di seguire i comandamenti e sgombro da ogni forma di malignità. Ma basta seguire i comandamenti ed essere leali per poter capire la volontà di Dio? In realtà siamo spesso portati a credere che la fede è riassumibile in una sorta di fedeltà a una tecnica: se segui le istruzioni ottieni il risultato. Ma la vita ci dimostra che così non è, ed è per questo che anche il Vangelo è popolato di storie di “giusti” che, in realtà, si scontrano con molte contraddizioni e infelicità. “Se mi sono comportato bene, allora perché Dio fa accadere questo male?”. Giuseppe mostra la sua “giustizia” nel voler a tutti i costi salvare la vita a Maria che, a causa della sua gravidanza, rischia di morire lapidata.
Il massimo che quest’uomo riesce a fare è escogitare un modo per “congedarla segretamente”. Questo dettaglio dei racconti dell’infanzia di Gesù ci fa capire due cose:
la prima è che Giuseppe non è un ingenuo, anzi escogita con santa furbizia un modo per tirare fuori dai guai la donna che ama; la seconda è che il massimo che riesce a fare è trovare un escamotage. Ma la volontà di Dio non coincide con esso. È bello pensare che la furbizia che ha Gesù nel riuscire a salvare la vita all’adultera l’abbia appresa da Giuseppe.
E che fare la volontà di Dio è sempre dire: “Sia fatta la tua, non la mia volontà”.