La resilienza è un termine tecnico che indica la “proprietà dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi, rappresentata dal rapporto tra il lavoro necessario per rompere una barretta di un certo materiale e la sezione della barretta stessa”. Estendendo il suo significato fuori dall’ambito tecnico, è la capacità di resistere e di reagire di fronte a difficoltà, avversità, eventi negativi.
Rassegnati o resilienti? Istintivamente ci sembra che la persona capace di rassegnazione sia quella che accetta di piegarsi pur di non spezzarsi, mentre quella resiliente accetta il rischio di spezzarsi pur di non piegarsi. Come sempre, sia l’una che l’altra posizione portano con sé, quando estremizzate due facce della medesima fatica e, se vogliamo, della medesima “patologia” che potremmo definire come la difficoltà di fare pace fra i nostri desideri e la realtà, fra quello che vorremmo fare e quello che la vita ci obbliga ad agire.
Ci sono coloro che, per paura dei fallimenti, del giudizio altrui, della frustrazione, smettono di fare progetti e, di conseguenza, vivono una vita che non è più quella che un giorno avevano immaginato per sé. Costoro si rassegnano, più che al loro destino, a un’esistenza triste, con poche conquiste, con poche gioie. E poi ci sono coloro che, nonostante vedano di fronte a sé che alcune cose sono precluse – per ragioni sociali, personali, psicologiche o fisiche – coltivano una rabbia cieca nei confronti della vita, degli altri, della società, della propria famiglia, percependo ciascuno e ogni cosa come i colpevoli dei loro fallimenti.