La terza domenica di Quaresima, il Vangelo ci presenterà l’incontro di Gesù con la donna di Samaria. Il luogo dell’incontro, dell’evangelizzazione è il Pozzo: le profondità del nostro cuore dove sappiamo essere deposta, fresca e fremente, una promessa di felicità, la nostra promessa di felicità: ciò che inqueta il nostro cuore, ciò che lo fa vibrare e sperare.
Un pozzo: nel brano del Vangelo è il pozzo che Giacobbe aveva scavato per la sua famiglia e il suo bestiame. Nella nostra vita c’è sempre un dono tramandato, un dono che qualcuno ha pensato per chi gli sarebbe succeduto nel tempo, per i suoi figli e i figli dei figli…
Un pozzo è un potenziale in grado di dissetare: l’unica discriminante è avere di che attingere. Il bisogno (tragico) nel bisogno è quello sperimentato da chi è sì al pozzo, ma non ha un’anfora da calarvi. Dio si presenta così com’è: forse ci sembrerà scandaloso, ma non ha ciò che gli permetterebbe di attingere alla nostra acqua! Dio non fa irruzione nella nostra intimità.
Si siede e attende che arriviamo, vive senza vergogna quel che noi spesso non sappiamo fare: tende le mani e chiede “Dammi da bere”. L’inizio della nostra relazione con Lui è il suo desiderio bruciante: il suo “bisogno di noi”. Ha sete di renderci giustizia, di restituirci alla dignità di figli, ha sete di riversare in noi il suo Spirito come acqua copiosa, come speranza che non delude.
Non sempre riusciamo a dare alla nostra sete il suo vero nome, non sempre riusciamo a capire di che cosa abbiamo davvero sete e ci illudiamo di aver trovato una nuova oasi nel deserto. Dio ci attende non nell’oasi, ma al nostro pozzo. Perché? Perché abbiamo bisogno di adorare: di baciare (adorare significa stare bocca a bocca) lo Sposo giusto, non l’ennesimo amante che delude il nostro desiderio profondo di pienezza, di quell’amore stabile e sempre nuovo che regge ogni urto. Quali desideri giacciono in fondo al tuo pozzo? Di che cosa hai sete?
