Gesù Cristo Re dell’universo

Gesù sarà il nostro re se sapremo accettare la sua autorità, ascoltare la sua Parola, praticare i suoi precetti. Fedeltà a Cristo Re dell’universo è ascoltare la sua voce, vivere le sue parole, attuare il suo progetto d’amore. La nostra sudditanza è scandita dalla gioiosa adesione al suo Vangelo, da una incondizionata fedeltà, da una convinta comunione con lui. Anche noi regneremo con Cristo se saremo capaci di assimilare Lui come colui che serve, che riconcilia e perdona e se saremo capaci di accogliere con gioia il dono stesso del Regno nel servizio ai fratelli.

L’appartenenza al Regno di Dio e il riconoscimento della sua sovranità su di noi e sull’Universo ci obbliga a lavorare per l’estensione di questo Regno, della sovranità di Dio e di Cristo poiché Egli sia conosciuto e riconosciuto come Re e Signore e l’umanità intera si costituisca come una sola famiglia che ha come Padre il Padre di Gesù Cristo e un solo corpo che ha come Capo Cristo Gesù nostro Dio e Signore e Re dell’universo.

Grati al Signore per averci fatto dono di un altro anno liturgico all’insegna dell’ascolto della sua Parola e nella partecipazione alla sua mensa eucaristica, rinnoviamo il nostro impegno di vita cristiana nella fedeltà totale alla fede e agli insegnamenti del Maestro, pronti a seguire il nostro Re con coerente entusiasmo, per testimoniare il suo Regno “eterno e universale: regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace”. (Prefazio)

Gesù Cristo Re dell’universo

Si conclude, con la XXXIV domenica, l’anno liturgico. Domenica prossima sarà la prima di Avvento e cominceremo un nuovo cammino liturgico.

Un  anno si chiude perché un altro se ne riapra. L’anno liturgico ci ha aiutato a conoscere Gesù per essere suoi discepoli. Tutta la storia è segnata dall’evento Cristo. Tutta la liturgia ruota attorno ai misteri della incarnazione, passione, morte e risurrezione di Gesù. E, a conclusione di tutto ciò che è stato proclamato, la Chiesa dichiara che Gesù il Signore è re dell’universo. La liturgia ci fa comprendere che il Signore, Re e Messia non è solo il punto a cui converge tutto l’Anno liturgico, ma Cristo Re è la meta del nostro pellegrinaggio terreno. Infatti la solennità odierna costituisce il coronamento delle feste della Chiesa, orientando e centrando l’attenzione del cristiano su Gesù redentore e Salvatore dell’uomo, che siede nella gloria alla destra del Padre, Re dei re e Signore dei signori. Ma la regalità di Cristo è una regalità di servizio e di dono, oblazione; il suo è un regno non di potere, ma di verità e non di ipocrisia, di bontà e di giustizia. Il Re Messia offre la sua vita per i suoi fino a versare tutto il sangue per la salvezza e la redenzione di tutti gli uomini. La sua origine è eterna, perché la sua origine è nella sovranità stessa di Dio, quel Dio che il Cristo è venuto a rivelare: un Dio d’amore, un Dio che salva. E’ questa la verità che Gesù, l’Uomo di Nazareth e il Cristo della fede è venuto a portare e a testimoniare; una verità che si incarna nella Sua persona; una verità che è tutt’uno con l’amore, che si rivelerà pienamente nel dono estremo di sé sulla Croce, per la redenzione di tutti gli uomini.

Festa dei Santi – Giorno dei Morti

Quest’anno più che mai siamo chiamati a vivere questi due giorni che viaggiano costantemente in coppia. In effetti essi ci richiamano ad una saggezza che si nutre di atteggiamenti diversi e ci fa considerare la nostra esistenza con gli occhi della fede. Con il suo ottimismo e con il suo realismo, senza nasconderci la realtà della morte.

La festa dei Santi ci offre gli occhiali giusti per leggere la storia. Solitamente la consideriamo come luogo di sciagure, di contrasti, di conflitti. E ci lasciamo impressionare dall’albero che cade, senza accorgerci “della foresta che sta crescendo”. Oggi guardiamo ad essa come a un terreno benedetto in cui fiorisce la santità di tanti uomini e di tante donne. Non vistosamente, ma in modo semplice. Non sfruttando qualche trovata pubblicitaria, ma nel concreto di ogni giorno. Quante persone hanno mostrato il meglio di sé: con la loro generosità e disponibilità, con uno spirito fraterno di condivisione!

Dopo la festa dei Santi viene il giorno dei Morti. Giorno in cui fare i conti con una realtà che è scritta da sempre dentro la nostra vita. Giorno di memoria e di gratitudine verso coloro che ci hanno fatto del bene. Giorno in cui passare ad una considerazione pacata dell’esistenza, illuminata dalla fiducia in Dio, dalla speranza della vita eterna. Forse non è facile viverli, uno così attaccato all’altro, questi due giorni. Ma è senz’altro “salutare” per la nostra fede, perché considerare la vita terrena e il suo sbocco nella vita eterna ci induce a vivere meglio, a lasciar perdere ciò che è futile, a dare importanza a quello che conta veramente.

Tutti i Santi (2)

La Solennità di Tutti i Santi è occasione propizia per elevare lo sguardo dalle realtà terrene, scandite dal tempo, alla dimensione di Dio, la dimensione dell’eternità e della santità. La Liturgia ci ricorda oggi che la santità è l’originaria vocazione di ogni battezzato. Cristo infatti, che col Padre e con lo Spirito è il solo Santo, ha amato la Chiesa come sua sposa e ha dato se stesso per lei, al fine di santificarla.

Per questa ragione tutti i membri del Popolo di Dio sono chiamati a diventare santi, secondo l’affermazione dell’apostolo Paolo: «Questa infatti è la volontà di Dio, la vostra santificazione» (1 Ts 4,3). Siamo dunque invitati a guardare la Chiesa non nel suo aspetto solo temporale ed umano, segnato dalla fragilità, ma come Cristo l’ha voluta, cioè «comunione dei santi». Nel Credo professiamo la Chiesa «santa», santa in quanto è il Corpo di Cristo, è strumento di partecipazione ai santi Misteri – in primo luogo l’Eucaristia – e famiglia dei Santi, alla cui protezione veniamo affidati nel giorno del Battesimo.

La Commemorazione dei fedeli defunti, cui è dedicata la giornata di domani, 2 novembre, ci aiuta a ricordare i nostri cari che ci hanno lasciato, e tutte le anime in cammino verso la pienezza della vita, proprio nell’orizzonte della Chiesa celeste, a cui la Solennità di oggi ci ha elevato. Fin dai primi tempi della fede cristiana, la Chiesa terrena, riconoscendo la comunione di tutto il corpo mistico di Gesù Cristo, ha coltivato con grande pietà la memoria dei defunti e ha offerto per loro suffragi. La nostra preghiera per i morti è quindi non solo utile ma necessaria, in quanto essa non solo li può aiutare, ma rende al contempo efficace la loro intercessione in nostro favore. Anche la visita ai cimiteri, mentre custodisce i legami di affetto con chi ci ha amato in questa vita, ci ricorda che tutti tendiamo verso un’altra vita, al di là della morte. Il pianto, dovuto

al distacco terreno, non prevalga perciò sulla certezza della risurrezione, sulla speranza di giungere alla beatitudine dell’eternità, «momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità». Lo ha promesso Gesù ai suoi discepoli, dicendo: «Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia».

Tutti i Santi (1)

Celebriamo oggi con grande gioia la festa di Tutti i Santi. Visitando un vivaio botanico, si rimane stupefatti dinanzi alla varietà di piante e di fiori, e viene spontaneo pensare alla fantasia del Creatore che ha reso la terra un meraviglioso giardino. Analogo sentimento ci coglie quando consideriamo lo spettacolo della santità: il mondo ci appare come un giardino dove lo Spirito di Dio ha suscitato con mirabile fantasia una moltitudine di santi e sante, di ogni età e condizione sociale, di ogni lingua, popolo e cultura.

Ognuno è diverso dall’altro, con la singolarità della propria personalità umana e del proprio carisma spirituale. Tutti però recano impresso il sigillo di Gesù (cfr Ap 7,3), cioè l’impronta del suo amore, testimoniato attraverso la Croce. Sono tutti nella gioia, in una festa senza fine, ma, come Gesù, questo traguardo l’hanno conquistato passando attraverso la fatica e la prova (cfr Ap 7,14), affrontando ciascuno la propria parte di sacrificio per partecipare alla gloria della risurrezione.

La solennità di Tutti i Santi si è venuta affermando nel corso del primo millennio cristiano come celebrazione collettiva dei martiri. Già nel 609, a Roma, il Papa Bonifacio IV aveva consacrato il Pantheon dedicandolo alla Vergine Maria e a tutti i Martiri. Questo martirio, peraltro, possiamo intenderlo in senso lato, cioè come amore per Cristo senza riserve, amore che si esprime nel dono totale di sé a Dio e ai fratelli. Questa meta spirituale, a cui tutti i battezzati sono protesi, si raggiunge seguendo la via delle beatitudini evangeliche, che la liturgia ci indica nell’odierna solennità (cfr Mt 5,1-12a). E’ la stessa via tracciata da Gesù e che i santi e le sante si sono sforzati di percorrere, pur consapevoli dei loro limiti umani.

Nella loro esistenza terrena, infatti, sono stati poveri in spirito, addolorati per i peccati, miti, affamati e assetati di giustizia, misericordiosi, puri di cuore, operatori di pace, perseguitati per la giustizia. E Dio ha partecipato loro la sua stessa felicità: l’hanno pregustata in questo mondo e, nell’aldilà, la godono in pienezza. Sono ora consolati, eredi della terra, saziati, perdonati, vedono Dio di cui sono figli. In una parola: di essi è il Regno dei cieli (cfr Mt 5,3.10).

In questo giorno sentiamo ravvivarsi in noi l’attrazione verso il Cielo, che ci spinge ad affrettare il passo del nostro pellegrinaggio terreno. Sentiamo accendersi nei nostri cuori il desiderio di unirci per sempre alla famiglia dei santi, di cui già ora abbiamo la grazia di far parte. Come dice un celebre canto spiritual: Quando verrà la schiera dei tuoi santi, oh come vorrei, Signore, essere tra loro.

Possa questa bella aspirazione ardere in tutti i cristiani, ed aiutarli a superare ogni difficoltà, ogni paura, ogni tribolazione! Mettiamo la nostra mano in quella materna di Maria, Regina di tutti i Santi, e lasciamoci condurre da Lei verso la patria celeste, in compagnia degli spiriti beati di ogni nazione, popolo e lingua  (Ap 7,9). Ed uniamo nella preghiera già il ricordo dei nostri cari defunti che domani commemoreremo.

Solennità dell’Assunzione

Il Signore ha veramente esaltato Maria, ponendola al vertice delle sue opere e profondendo in lei la ricchezza della sua bontà, della sua bellezza e del suo amore. Ma la Vergine rimane sempre una creatura, e, come essa stessa si chiama, “l’ancella del Signore”. L’umiltà si distende su tutta la sua vita. Contemplare Maria diventa una rispondenza ad una nostra incolmabile nostalgia, anche di noi moderni. Gli uomini del nostro tempo cercano infatti il tipo, cercano l’eroe, cercano colui che sintetizzi qualche lato perfetto della vita umana.

La Madonna verifica in se stessa tutte le bellezze dell’umanità, oltreché della santità soprannaturale: è donna, è vergine, è madre, ha sofferto, ha lavorato, ha patito, ha vissuto la nostra esperienza terrena e porta in alto la nostra umanità. Essa ci conforta e ci invita ad imitarla. E l’esemplarità della Madonna, che illumina il nostro cammino, non rimane distante.

La Vergine santissima è infatti nostra intermediaria e la sua intercessione diventa materna e sempre vicina alle prove della nostra vita. Essa ci conforta e ci aiuta ad imitarla. È stata così semplice, così umile: possiamo esserlo anche noi, rendendo ideale il pellegrinaggio della nostra vita. Il momento è propizio per ascoltare. E sembra a noi che la festa dell’Assunta faccia calare dal cielo un messaggio assai importante. È il messaggio della vita futura alla vita presente; un messaggio pieno di luce e di speranza, ma ammonitore circa il fine ultraterreno della umana esistenza. Noi raccoglieremo questo messaggio e ringrazieremo la Madonna che ce lo manda, e che ci ricorda come il destino della vita non è chiuso nel tempo, ma è al di là, e che il senso, il dovere principale del nostro cammino nel tempo è quello di meritarci quel Paradiso, dove Ella, Maria, già si trova nell’integrità gloriosa del suo essere, anima e corpo. Grande lezione per noi, se fossimo dimentichi della sorte che ci attende oltre la tomba; grande consolazione per chi desidera il bene, per chi lavora con animo forte ed alto, per chi soffre, per chi spera e per chi prega.

Solennità dell’Assunzione

Le parole tacciono … davanti alla bellezza di Maria, la Vergine Madre assunta in cielo con anima e corpo, resta solo la contemplazione stupita. Per noi pellegrini sulla terra tutto quanto riguarda la vita eterna, la vita nella gloria, è avvolto di mistero. Tuttavia è mistero pieno di luce e di gioia, i cui raggi si riflettono sulla nostra quotidiana esistenza, illuminando le nubi che talvolta su di essa si addensano e rendendo più acuta la nostalgia del cielo. Il riposo è gradito a coloro che sono stanchi. È dunque opportuno per noi che sopraggiunga questo giorno di riposo e di festa, in modo che, mentre celebriamo il riposo della santa Madre di Dio, non solo i corpi ritemprino le forze, ma anche i cuori riprendano fiato nel ricordo e nell’amore di quel riposo eterno. Anche lì noi mieteremo il riposo, noi che ora seminiamo la fatica di questo raccolto. Il frutto di questa fatica sarà quel riposo. Nel pieno fervore dell’estate, la Chiesa celebra la più grande tra le sue feste del “raccolto”.

La Vergine Madre di Dio è infatti il primo e perfettamente maturo frutto del mistero pasquale.

In lei la Chiesa contempla il definitivo compimento del piano della salvezza; in lei saluta i cieli nuovi e la terra nuova, e con lei si considera già entrata nella gloria della risurrezione. Perciò, mentre proclama la sua gloria, canta la propria speranza. Maria è già ciò che la Chiesa  –  e ogni singola persona  –  sarà alla fine dei tempi; Maria, dunque, ci dà l’orientamento al cielo e tiene lo sguardo del nostro cuore proteso alla meta.

I testi che la liturgia della solennità offre alla nostra meditazione ripresentano le tappe dell’itinerario che Maria ha percorso e che la Chiesa va proponendo nel suo pellegrinaggio di fede.

Prendendo l’avvio dalle prime pagine della Genesi, si arriva alla gloriosa conclusione prospettata nell’Apocalisse proposta nella prima lettura della Messa del giorno. Dall’annunzio della donna portatrice della Salvezza si giunge all’unione definitiva di Cristo con la Chiesa-Sposa di cui Maria è la primizia.

La bellezza di questa creatura che rallegra il cielo e la terra è candore e santità, ma soprattutto amore. Il fatto che gli angeli esultanti l’accolgano con loro in paradiso non può lasciare in noi ombra di malinconia o senso di orfanezza, poiché se in cielo tra gli angeli Maria è regina, in mezzo a noi ella rimane sempre nostra Madre premurosa e compassionevole. Tutto Maria conserva nel suo cuore, tutto di noi raccoglie e presenta al figlio e al Padre. Ogni nostra preghiera e offerta passa attraverso le sue mani.

La nostra più grande aspirazione dovrebbe essere quella di divenire come Maria, totalmente donati a Dio e di umile servizio i fratelli, affinché nessuno resti isolato nel cammino, ma tutti insieme possiamo raggiungere la celeste meta del terreno pellegrinaggio.

San Pietro: il martirio

Nell’estate del 64 d.C. un terribile incendio scoppia nella città di  Roma, distruggendo gran parte dei suoi quartieri  e monumenti. Voci, vere o false non sappiamo, accusano l’imperatore Nerone di essere artefice del disastro. Per soffocare queste accuse, Nerone ordina che siano puniti i cristiani quali colpevoli dell’incendio e nemici del genere umano. Oppressi dalla persecuzione, sazi di sangue e lutti, i cristiani si raccolgono attorno al vecchio Pietro, che da quella “Babilonia” scrive un’epistola,  la Prima Lettera di Pietro, nella quale dà coraggio ai propri figli spirituali, il suo testamento dopo anni e anni di sofferenze: “Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione  della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare”.  Secondo un’antica tradizione, ricercato dalle guardie imperiali, Pietro riesce a fuggire ma lungo la via Appia incontra il Maestro, luminoso e magnifico, che, portando la croce sulle spalle alla domanda dell’apostolo: “Dove vai, Signore?” risponde: “Torno a Roma per essere crocifisso un’altra volta”.  Il messaggio è chiaro: attraverso Pietro, Gesù tornerà a sacrificarsi per la sua Chiesa. L’apostolo non osa ribadire, torna solennemente a Roma; arrestato, viene  condotto nel carcere Mamertino (oggi Chiesa di s. Pietro in Carcere) nella stessa cella dell’amico e compagno, Paolo di Tarso. L’ora dei due apostoli scocca, secondo fonti antiche, il 29 giugno di un anno imprecisato, fra il 64 e il 67 d.C. I due vengono condotti l’uno preso il circo di Nerone nelle vicinanze del colle Vaticano, l’altro presso la zona delle Acquae Salviae, Pietro condannato alla crocifissione, Paolo essendo cittadino romano, alla decapitazione. Prima di  essere inchiodato al legno della croce, l’apostolo ha un ultimo desiderio: essere crocifisso a testa in giù poiché non degno di morire come il Maestro.

San Pietro: la guida della Chiesa

Rinvigorito nell’animo, Pietro, a seguito dell’ascensione al cielo del Maestro, prende in pugno la situazione e raduna attorno al gruppo apostolico la comunità di discepoli che avevano seguito Gesù durante i tre anni di vita pubblica. Cinquanta giorni dopo la Pasqua si ritrova a Gerusalemme con gli apostoli, le donne e Maria, la madre di Gesù divenuta ora Madre premurosa della prima comunità cristiana. Sono immersi nella preghiera, celebrando il giorno della Pentecoste, quando un forte vento li investe e lingue di fuoco si posano sui capi di ciascuno: è lo Spirito Santo, il Consolatore promesso dal Maestro nel cenacolo.

È proprio questo Consolatore, che infuoca i loro cuori, spinge i dodici apostoli ad uscir fuori e a gridare al mondo intero “Gesù di Nazareth, che voi avete inchiodato e ucciso, Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte”. È proprio Pietro il primo a parlare. Tutto ciò è accompagnato da un prodigio che ha dell’incredibile: il popolo che ascolta il suo discorso è composto da uomini di varie etnie e diverse lingue; tutti però comprendono le parole dell’apostolo. Alcuni ipotizzano che i dodici siano ubriachi ma le loro calunnie non fanno breccia nella mente della gente, che accorre verso Pietro e chiede da lui il Battesimo: quel giorno nacquero alla fede circa tremila persone. Comincia a sorgere una prima comunità di credenti, tanti cuori uniti in un unico, intenso, battito, tanti occhi puntati verso la vita eterna. Da questa comunità fino ad oggi la Chiesa continua ad essere nel mondo l’annuncio del Vangelo e il segno della fede nel Cristo morto e risorto.

Santi Pietro e Paolo

Ed è venuto anche per Pietro il momento di sistemare dinanzi all’Interessato quella faccenda, decisamente scabrosa, del rinnegamento. C’era già stato un incontro. Ma Gesù non aveva potuto fermarsi. Soltanto uno sguardo, ed era bastato per far ruscellare le lacrime sul suo volto del colpevole. Adesso, però, c’è una faccia a faccia impegnativo. La questione va  chiarita. Bella roccia, sei stato, Pietro. Hai scricchiolato penosamente dinanzi all’alito di una donnicciola. Dove sono andate a finire le tue promesse di fedeltà incrollabile? E dire che dovevi costituire il fondamento della Chiesa… Incaricato di dare solidità anche ai tuoi fratelli. Ma l’incontro con Cristo risorto al lago è stato esaltante e incoraggiante.

Non sono venuto, dice Gesù, per giudicarti. Non mi ricordo più della tua viltà. Sono io che torno verso di te per primo, dopo quello che hai combinato. E ritorno verso di te unicamente per domandarti se mi ami ancora, se il tuo rimorso, che è senz’altro grande, non ha distrutto in te l’amicizia che ci univa. Se il sentimento di colpevolezza che provi nei miei riguardi non ha per caso inaridito in te la sorgente dell’amore. Non ti dico neppure che ti perdono, come a coloro che mi hanno inchiodato sulla croce; quelli non mi amavano;  meglio, non avevano capito che li amavo. Ma a te chi mi amavi, che condividevi la mia esistenza quotidiana, ti domando soltanto se mi ami ancora, se queste drammatiche giornate pasquali non hanno ucciso in te l’amore. Ti domando esclusivamente questo. Perché è questo l’essenziale. È l’unico necessario per la tua felicità e la tua gioia”.

Ecco evidenziato, in questo episodio, la differenza tra rimprovero e perdono. Il rimprovero rende presente una mancanza. Il perdono la allontana, fino a farla sparire, crea una situazione nuova. Col rimprovero si rinfaccia una colpa che appartiene al passato, la si rende ancora attuale. Col perdono Cristo ci rinfaccia  –  ossia ci mette di fronte  –  l’avvenire, le nostre possibilità (e non le nostre manchevolezze). Il rimprovero finisce per far ripiegare un individuo su se stesso, sul suo peccato. Col perdono, Cristo ci fa uscire dal peccato. Il rimprovero spesso è sterile. Il perdono, che è offerta di amore, è sempre creativo. Col rimprovero si dimostra di conoscere una persona e le sue colpe. Cristo, invece, col perdono, più che conoscerci, dimostra di inventarci. Inventarci “diversi”. Il rimprovero ci costringe a guardare indietro. Il perdono ci obbliga a guardare avanti. Cristo chiude il passato. Ce lo porta via, definitivamente.

Non esiste più. Non è che lo tenga nascosto, magari per rinfacciarcelo al momento giusto. Cristo ci consegna il futuro. Con molta acutezza è stato osservato che la penitenza che Gesù ha affibbiato a Pietro è stato l’incarico affidatogli. Quasi gli dicesse: “Và, d’ora in poi farai il Papa!”. Anche a noi il Signore impone questo genere di penitenza impegnativa. “Adesso và … Ti affido l’avvenire”. Il perdono, più che saldare un conto col passato, ne apre uno col futuro. Ma l’episodio precisa anche il senso con cui bisogna intendere l’espressione: “su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. La pietra non è quella di Pietro. La pietra della sua presunzione, della sua sicurezza è stata frantumata dall’esperienza del rinnegamento. E poi è stata sciolta, definitivamente, dalle lacrime del pentimento. Ora Pietro, e noi con lui, è in grado di capire che la pietra, la roccia è unicamente Cristo. Soltanto Lui offre tutte le garanzie di tenuta. La fedeltà è la sua. Ed è una fedeltà che non viene mai meno, nonostante i tradimenti e le debolezze degli uomini.

D’altra parte, anche l’esperienza dell’altro apostolo di cui celebriamo la festa, dimostra la medesima realtà. Paolo stesso non esita a riconoscere: “Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi …”. (Gal 1,13). Deve riconoscere di essere stato “un bestemmiatore, un persecutore e un violento” (1Tm 1,13). Ma ci tiene a sottolineare: “Per grazia di Dio sono quello che sono” (1Cor 15,10). Dunque, la Chiesa si fonda sulla misericordia di Dio, non sulla forza degli uomini. La Chiesa è la comunità dei peccatori perdonati, “graziati”, non dei perfetti. Dobbiamo renderci conto, senza farne un dramma, che la Chiesa rivela, ma anche nasconde Dio.

Lo manifesta, ma  –  in certi momenti  –  lo oscura.  Lo presenta, ma talvolta ce lo allontana. Già. La Chiesa è santa, ma fatta di peccatori. La Chiesa ci consegna Dio, certamente. Ma ce lo offre come avvolto nella ganga della propria miseria, nell’intrico delle proprie contraddizioni. In Dio non c’è né ombra, né ruga, né macchia. La Chiesa, invece, è fatta di uomini, e quindi fatta di miserie, debolezze, colpe, disordini assortiti. I deliranti di una purezza idealistica della Chiesa sono “nemici del Regno”. È necessario imparare ad amare e accettare con gioia la Chiesa così com’è.  Perché anch’io sono Chiesa. E anch’io ho bisogno di essere accettato dalla Chiesa col mio peso di miserie e le mie ombre. Sono sicuro che non mi vergognerò mai della Chiesa. Anzi, le sarò sempre riconoscente. Perfino per le sue ombre. Perché mettono in risalto la luce che è di un Altro.