Non nascondo la fatica del cammino, ma semplicemente sgombero la strada da un equivoco iniziale: il non saper pregare non è un ostacolo nel cammino della preghiera.
Il cristiano è chiamato a ricuperare il senso della vicinanza di Dio.
Già l’antico popolo di Israele confessava con stupore: “qual grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E qual grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi espongo?”.
Se così poteva dire il popolo dell’antica alleanza, quanto più questa meraviglia dovrebbe regnare nel cuore del cristiano?
Pregare significa poter gustare sempre più la meraviglia di questo Dio vicino, di Gesù buon samaritano che si fa prossimo, del Dio “più intimo a me di me stesso” (s. Agostino).
L’essenza della preghiera consiste già nel credere fermamente che Dio ti è vicino.
Non sappiamo o non vogliamo pregare perché siamo malati di attivismo. Siamo abituati a misurare il valore delle cose o delle persone in base alla loro utilità; se anche nella vita spirituale entra il tarlo dell’attivismo e dell’utilitarismo, il cristiano perde di vista l’essenziale della sua vocazione.
Non possiamo ragionare in base a che cosa serve e a che cosa non serve: se non riscopriamo la dimensione della gratuità, non toccheremo mai il senso della nostra chiamata.
Pregare è rinnovare l’Amore che rende tutto possibile.
Se sei già impegnato in mille attività, e sei convinto che non serva pregare, prova a trovare un tempo fisso per la preghiera nelle tue giornate sovraccariche, e ne troveranno giovamento anche le tue molteplici attività.
Per un cristiano è necessaria la preghiera, com’è indispensabile il pane per vivere o l’aria per respirare.
