Solo imparando a pregare possiamo rintracciare la presenza di Dio nelle nostre giornate, solo dimorando in Lui riusciamo a conservare la fede e a renderla efficace per la nostra vita. In un mondo frammentato in cui l’interiorità, prima ancora che la fede, è messa in discussione e mortificata, presi come siamo a sbarcare il lunario, costretti a cedere a ritmi di lavoro forsennati, è difficile conservare la fede e, con essa, la serenità.
La sola partecipazione festiva all’Eucaristia rischia di non essere sufficiente a mantenere viva in noi la fiamma della fede: ci è necessaria l’abitudine alla preghiera quotidiana, alla meditazione settimanale, all’incontro prolungato, nel silenzio, col Signore.
Certo: non siamo monaci di clausura e viviamo nel mondo, ma chi fa esperienza di preghiera, e sa che a volte occorre molta determinazione per trovare il tempo e lo spazio mentale per accedervi, ci testimonia il cambiamento della qualità della sua vita.
Dedicare anche solo dieci minuti al giorno (su 1.440 che lo compongono, meno dell’1%) ci permette di fissare la meta, di orientare la vita, di capire quanto ci sta succedendo.
La preghiera ha innanzitutto bisogno di me: di quello che io sono, sul serio, senza maschere, senza fuggire, senza finte. Solo il mio vero io può incontrare il vero Dio.
La preghiera ha bisogno di un tempo: scegliamo il tempo, se ci è possibile, in cui siamo più in forma. La preghiera ha bisogno di un luogo: è utile creare un angolo specifico o trovare qualche luogo.
La preghiera ha bisogno di una parola da dire: detta col cuore per affidare la vita, per raccomandare le persone che incontriamo, per chiedere aiuto, per dire tutto il nostro malumore, per prendersela con Dio.
La preghiera ha bisogno di una Parola da ricevere: quella che Dio ci dona, prima o dopo le nostre parole. Suggerisco la Parola della messa del giorno. Forse non la capiremo subito, ma è quella che, messa nel cuore, porterà frutto.