Rassegnati e resilienti? (2)

Tristezza e rabbia sono le due “malattie” spirituali tipiche di coloro che pensano di aver perduto ogni potere sulla propria esistenza, di coloro che “se fosse stato per me … ma qualcuno o qualcosa non ha voluto così”. Tristezza e rabbia nascono entrambe dalla medesima incapacità ad armonizzarsi con la realtà, dalla fatica insuperabile nell’accogliere la sfida di poter cambiare ciò che è possibile cambiare, e di accettare ciò che, invece, cambiare non possiamo.
Prendere la propria vita in mano, senza rischiare di muoversi in un mondo immaginario e continuamente frustrato dall’evidenza della realtà, m scegliendo di abbracciare la vita per quello che è: l’occasione per rendere fruttuoso “sia il bene, sia il male”.

Rassegnati e resilienti?

La resilienza è un termine tecnico che indica la “proprietà dei materiali di resistere agli urti senza spezzarsi, rappresentata dal rapporto tra il lavoro necessario per rompere una barretta di un certo materiale e la sezione della barretta stessa”. Estendendo il suo significato fuori dall’ambito tecnico, è la capacità di resistere e di reagire di fronte a difficoltà, avversità, eventi negativi.
Rassegnati o resilienti? Istintivamente ci sembra che la persona capace di rassegnazione sia quella che accetta di piegarsi pur di non spezzarsi, mentre quella resiliente accetta il rischio di spezzarsi pur di non piegarsi. Come sempre, sia l’una che l’altra posizione portano con sé, quando estremizzate due facce della medesima fatica e, se vogliamo, della medesima “patologia” che potremmo definire come la difficoltà di fare pace fra i nostri desideri e la realtà, fra quello che vorremmo fare e quello che la vita ci obbliga ad agire.

Ci sono coloro che, per paura dei fallimenti, del giudizio altrui, della frustrazione, smettono di fare progetti e, di conseguenza, vivono una vita che non è più quella che un giorno avevano immaginato per sé. Costoro si rassegnano, più che al loro destino, a un’esistenza triste, con poche conquiste, con poche gioie. E poi ci sono coloro che, nonostante vedano di fronte a sé che alcune cose sono precluse – per ragioni sociali, personali, psicologiche o fisiche – coltivano una rabbia cieca nei confronti della vita, degli altri, della società, della propria famiglia, percependo ciascuno e ogni cosa come i colpevoli dei loro fallimenti.

Vite stressate e vita eterna (2)

Una delle ferite che maggiormente patiamo, non certo da oggi, nasce dalla percezione che, in fondo, la nostra vita non ci appartenga, che qualcun altro ne regga le fila, che noi possiamo cercare di progettare qualcosa di importante ma che, spesso, sopravvenga qualcosa a metterci i bastoni fra le ruote, a renderci impossibile il perseguimento dei nostri progetti.
E quando vediamo che ciò che ci eravamo posti come scopo non potrà realizzarsi o che, per raggiungere i nostri obiettivi, dobbiamo continuamente cedere a compromessi, ecco che subentrano alternativamente la frustrazione, la rabbia e, infine, la rassegnazione: una sorta di accettazione triste del fatto che, nelle cose della vita, “va così e non possiamo farci niente”.

La rassegnazione è definita dal dizionario come “la disposizione ad accogliere senza reagire fatti che appaiono inevitabili”. Per la tradizione cristiana, di rassegnazione si è parlato a lungo anche come di una virtù, come dell’accettazione dell’inevitabile, della consapevolezza che tutto sia nelle mani di Dio e, di conseguenza, a noi non resti che chinare il capo e umilmente accogliere quel che la vita ci riserva. Ma è davvero così? Oggi, in una postmodernità in cui l’uomo ha ormai compreso che la sua centralità nel mondo non è così scontata come solo qualche decennio fa si pensava, si tende a percepire la rassegnazione come l’inverso della resilienza, altra parola che è entrata prepotentemente nel vocabolario contemporaneo.

Vite stressate e vita eterna (1)

Sei stanca? Sei stanco? Bevi questa sostanza, mangia questa barretta … e riparti!
Viviamo in una società che ci chiede continuamente di essere performanti, quasi non potessimo concederci una pausa. Ci sono delle pubblicità che ci invitano a prendercela, ma ancora una volta offrendoci un prodotto da consumare, che ci permetterà di rimetterci in careggiata.
Non fermarsi mai. Questo è il modo con cui trattiamo noi stessi, ma anche gli altri e persino la natura: parliamo molto di ecologia, di emissioni, di energia rinnovabile, di limiti da porre al riscaldamento globale, ma intanto cerchiamo nuovi sistemi, che chiamiamo più “ecologici” (ma che rischiano di essere soprattutto più utili a rinnovare i circuiti economici) per continuare a stressare noi stessi e il nostro pianeta. Sarà un caso che le malattie più gravi di oggi siano legate all’ansia da prestazione, allo stress da risultato, alla necessità di non arrestare la produzione?

Ma le malattie legate all’uso del tempo non sono solo quelle che ci consumano attraverso la frenesia; vi sono, infatti, anche disturbi che vanno nel senso opposto, ossia che, sotto la facciata della necessità di riposo e di recupero delle energie, nascondono l’incapacità ad agire, l’inabilità nel mettersi in gioco di fronte a noi stessi e dentro il mondo in cui viviamo, un solipsismo che ci consuma dal di dentro. Se, infatti, da un lato ci sono le persone iperattive e iperperformanti, dall’altra ci sono quelle che fanno un uso del riposo completamente vuoto di senso, rendendolo fine a se stesso, semplice occasione per ritirarsi dal mondo e fingere che il mondo stesso non esista. Le Scritture offrono, di fronte alla condizione degli uni e degli altri, l’occasione di una riflessione e di un’occasione consapevole di riscatto, di rigenerazione. Esiste una fonte di energia davvero “alternativa”, completamente “priva di emissioni” e “eternamente” riciclabile.
Un’energia che si attiva quando si combinano due poli che devono operare insieme, per potersi davvero rivelare utili e fecondi.

È stato lo stesso papa Francesco, nella sua lettera enciclica Laudato sì, a fornire una sintesi efficace di tutto ciò.

La spiritualità cristiana integra il valore del riposo e della festa. L’essere umano tende a ridurre il riposo contemplativo all’ambito dello sterile e dell’inutile, dimenticando che così si toglie all’opera che si compie la cosa più importante: il suo significato. Siamo chiamati a includere nel nostro operare una dimensione ricettiva e gratuita, che è diversa da una semplice inattività. Si tratta di un’altra maniera di agire che fa parte della nostra essenza. In questo modo l’azione umana è preservata non solo da un vuoto attivismo, ma anche dalla sfrenata voracità e dall’isolamento della coscienza che porta a inseguire l’esclusivo beneficio personale. La legge del riposo settimanale imponeva di astenersi dal lavoro nel settimo giorno, «perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero» (Es 23,12). Il riposo è un ampliamento dello sguardo che permette di tornare a riconoscere i diritti degli altri. Così, il giorno di riposo, il cui centro è l’Eucaristia, diffonde la sua luce sull’intera settimana e ci incoraggia a fare nostra la cura della natura e dei poveri.

Abbiamo perso il senso della gratuità e persino il riposo, troppo spesso, è a servizio di una migliore performance o, al contrario, è fine a se stesso.
Stanno scomparendo le “pause” spirituali che vivono di contemplazione, di gratuità e di sguardo che riconosce l’alterità.
Questa situazione, alla lunga, non può che impoverire noi e la stessa creazione.

Ritrovare il riposo e la pace del cuore (4)

“Senza di Lui non possiamo far nulla”, o quello che facciamo rischiamo di farlo male: Gesù non poteva essere più esplicito! La preghiera è il cammino necessario per essere fecondi, per rimanere nel dinamismo vitale di questo amore.
Naturalmente non bastano “le preghiere!” per rimanere nel circolo di questo amore. Sarebbe ben meschino un Dio che misurasse il nostro “rimanere in Lui” dalla quantità delle nostre parole.
Non si tratta di sprecare parole, ma di amare. Non conta tanto parlare, quanto ascoltare.
La preghiera non è un momento da dedicare a Dio, rubandolo alle mille attività della giornata: è piuttosto la normalità, è la vita. È la camera, è lo spazio più personale, quello che si conosce alla perfezione e che ognuno può gestire come meglio crede. È il luogo abituale, in cui riconoscersi e in cui ritrovare il riposo e la pace del cuore.

Ritrovare il riposo e la pace del cuore (3)

Non nascondo la fatica del cammino, ma semplicemente sgombero la strada da un equivoco iniziale: il non saper pregare non è un ostacolo nel cammino della preghiera.
Il cristiano è chiamato a ricuperare il senso della vicinanza di Dio.
Già l’antico popolo di Israele confessava con stupore: “qual grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E qual grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi espongo?”.
Se così poteva dire il popolo dell’antica alleanza, quanto più questa meraviglia dovrebbe regnare nel cuore del cristiano?
Pregare significa poter gustare sempre più la meraviglia di questo Dio vicino, di Gesù buon samaritano che si fa prossimo, del Dio “più intimo a me di me stesso” (s. Agostino).
L’essenza della preghiera consiste già nel credere fermamente che Dio ti è vicino.
Non sappiamo o non vogliamo pregare perché siamo malati di attivismo. Siamo abituati a misurare il valore delle cose o delle persone in base alla loro utilità; se anche nella vita spirituale entra il tarlo dell’attivismo e dell’utilitarismo, il cristiano perde di vista l’essenziale della sua vocazione.
Non possiamo ragionare in base a che cosa serve e a che cosa non serve: se non riscopriamo la dimensione della gratuità, non toccheremo mai il senso della nostra chiamata.
Pregare è rinnovare l’Amore che rende tutto possibile.
Se sei già impegnato in mille attività, e sei convinto che non serva pregare, prova a trovare un tempo fisso per la preghiera nelle tue giornate sovraccariche, e ne troveranno giovamento anche le tue molteplici attività.
Per un cristiano è necessaria la preghiera, com’è indispensabile il pane per vivere o l’aria per respirare.

Beata Vergine Maria del monte Carmelo

L’APPARIZIONE AD ELIA SUL MONTE CARMELO
Nel Primo Libro dei Re dell’Antico Testamento si racconta che il profeta Elia, che raccolse una comunità di uomini proprio sul monte Carmelo (in aramaico “giardino”), operò in difesa della purezza della fede in Dio, vincendo una sfida contro i sacerdoti del dio Baal. Qui, in seguito, si stabilirono delle comunità monastiche cristiane. In seguito, i religiosi edificarono una chiesetta in mezzo alle loro celle, dedicandola alla Vergine e presero il nome di Fratelli di Santa Maria del Monte Carmelo. Il Carmelo acquisì, in tal modo, i suoi due elementi caratterizzanti: il riferimento ad Elia ed il legame a Maria Santissima.
LO SCAPOLARE CHE LIBERA DALLE PENE DEL PURGATORIO
Proprio a san Simone Stock, che propagò la devozione della Madonna del Carmelo e compose per Lei
un bellissimo inno, la Madonna assicurò che a quanti si fossero spenti indossando lo scapolare sarebbero stati liberati dalle pene del Purgatorio, affermando: «Questo è il privilegio per te e per i tuoi: chiunque morirà rivestendolo, sarà salvo». La consacrazione alla Madonna, mediante lo scapolare, si traduce
anzitutto nello sforzo di imitarla, almeno negli intenti, a fare ogni cosa come Lei l’avrebbe compiuta.

Ritrovare il riposo e la pace del cuore (2)

Provo a farmi con sincerità una domanda: è più giusto dire che non ho tempo per pregare oppure non desidero pregare? Non ho tempo perché la mia giornata è già strapiena di impegni.
Alcuni di questi impegni li ho scelti io; ho deciso io di organizzarmi così la giornata.
Certo, il lavoro, i doveri più elementari, gli impegni più sacrosanti sono fissi nella mia agenda ed è giusto che sia così. Ma dove possibile, organizzo il mio tempo in base ad una scala di valori: dedico il tempo libero a ciò che ritengo più importante e più desiderabile. Se la preghiera non trova spazio nella mia giornata, il motivo più semplice è questo: la preghiera non è per me un valore essenziale, capace di farmi rinunciare ad altri valori o pseudo-valori! La preghiera non è un’equazione matematica e non è neppure un privilegio riservato a pochi. La preghiera è amore, e l’amore non dipende né dal grado di istruzione, né dalle doti o dalle capacità di una persona. Ad amare si impara amando: tutta la vita – nelle piccole o grandi circostanze di ogni giorno – è una scuola di amore.
E non c’è neppure un momento in cui non sia più possibile ricominciare ed imparare.
Lunghi anni passati senza pregare rattrappiscono le nostre facoltà, ci allontanano da Dio, ci inaridiscono spiritualmente e spengono in noi il desiderio, ma viene per tutti il momento in cui Dio stesso riaccende questo desiderio, e allora è possibile ricominciare (o incominciare!).

Ritrovare il riposo e la pace del cuore (1)

Da poco tempo è terminato il grest! Dopo i giorni caratterizzati da ritmi intensi, da molte presenze, ora nel nostro oratorio c’è un po’ di calma. Nella vita si dovrebbe trovare sempre questi giusti equilibri: a momenti di grande frenesia e corse si dovrebbero alternare altri momenti favorevoli per godersi un pò di tranquillità e di serenità. Un ideale non sempre realizzabile nella vita reale.
Mi viene alla mente il vangelo di Marco, quando gli apostoli, dopo la missione, si riuniscono attorno a Gesù e terminato il resoconto della propria esperienza, sono invitati in un luogo solitario per riposarsi un po’. Potrebbe essere, questo periodo estivo, occasione provvidenziale per trovare questi momenti di sosta. Fermarsi, non solo per un riposo fisico e nello spirito, ma anche per ripensare a quanto il Signore ci sta dicendo, per conformarci alla Sua volontà, per comprendere la direzione verso cui ci sta indirizzando e per scegliere docilmente la strada che Lui ci propone.
Per poter creare questa importante situazione, l’ideale sarebbe la preghiera. Tutti sappiamo quanto sia necessaria la riflessione, il silenzio, la meditazione, la preghiera nella vita cristiana. Proviamo a trovare del tempo per momenti di adorazione, per partecipare a qualche Messa feriale: per noi cristiani sono punti fermi, insostituibili nella nostra vita, che danno equilibrio al nostro essere, carità al nostro agire, discernimento per la nostra coscienza, apertura alla nostra missionarietà e entusiasmo alle nostre iniziative. La preghiera è essenziale, è il respiro della nostra vita cristiana: non la possiamo ignorare né demandare ad altri.

Oggi è il tempo dei profeti di pace (3)

Le parole delle Beatitudini, perché quelle parole rappresentano “la carta d’identità del cristiano”, una vera e propria “mappa di vita” da cui non si può prescindere. Una carta d’identità da tenere sempre con noi.
In ogni ambito dell’agire umano, nella famiglia e nella scuola, nel lavoro e nel tempo libero, ogni cristiano è chiamato a incarnare le Beatitudini con atti concreti e non solo a parole. Perfino nella vita politica e nell’esercizio del potere, il cristiano è chiamato a rendere testimonianza a questo passo del Vangelo.
Operatori di pace, fame e sete di giustizia, sono oggi più che mai necessarie.
Dopo questo terremoto mondiale provocato, prima dalla pandemia e poi dalla guerra, ci troviamo di fronte a un bivio epocale: o noi ricostruiamo il mondo nella pace e con questa fame di giustizia oppure assisteremo al declino della nostra civiltà come spettatori irrilevanti.
Come uomini e donne, cioè, che non hanno più nulla da dire e da dare alla società contemporanea.
E invece abbiamo, come cristiani, molto da annunciare e da fare per il nostro tempo.
Dobbiamo annunciare la “verità sull’uomo” e dobbiamo impegnarci per l’unità della famiglia umana e l’unità della Chiesa. Di fronte al rischio di una crisi epocale dobbiamo comportarci come san Benedetto: pregare e lavorare per la rinascita del nostro Paese, del nostro continente e della nostra civiltà.